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Tutti gli uomini del presidente

In questi giorni siamo in pieno "datagate". Obama ha una bella gatta da pelare. Noi lo chiameremmo "datopoli" probabilmente, sull'onda di "tangentopoli", "parentopoli" e tutti gli altri scandali italiani i degli ultimi decenni. Al di là dell'oceano sono affezionati al suffisso -gate. Tutto prende il via dall'inchiesta dei due giovani cronisti del "Post" sullo scasso alla sede centrale del comitato del Partito Democratico nel complesso "Watergate". Da lì fu storia (l'inchiesta portò alle dimissioni di Nixon), e scuola del giornalismo d'inchiesta. Anni fa tra le bancarelle romane scovai il libro che racconta l'inchiesta. Alla Modica cifra di 2€ mi sono portata a casa un pezzo di storia. Che rileggo spesso. 20130609-110914.jpg Inizia così.
“17 giugno 1972. Le nove di un sabato mattina. Un po’ presto perché squillasse il telefono. Woodward trovò a tastoni l’apparecchio e si svegliò di colpo. Era il capocronista del “Washington Post”. Uno scasso nella sede del partito democratico durante la notte; cinque uomini, armati di apparecchiature fotografiche e di dispositivi elettronici, erano stati arrestati. Poteva fare un salto al giornale? Woodward, che lavorava al “Post” da appena nove mesi, era sempre in attesa di un buon servizio per il sabato; ma anche stavolta, a quanto pareva, gli era andata male.”
La descrizione dei due cronisti.
"Woodward cominciò a fare qualche telefonata, ma quasi subito notò che anche Bernstein, uno dei due cronisti del giornale che si occupavano della Virginia, stava lavorando sulla faccenda dello scasso. Oh, Dio! Proprio Bernstein, pensò Woodward, ricordando ciò che aveva sentito raccontare un giro sull'abilità con cui il collega sapeva mettere le mani su un buon servizio per firmarlo lui. [...] Bernstein lanciò un'occhiata attraverso la sala. C’era un pilastro tra la sua scrivania e quella di Woodward, circa 8 metri più in là. Indietreggiò di qualche passo. Era chiaro che anche Woodward stava lavorando su quella storia. Logico, pensò Bernstein. Woodward era una prima donna, classico tipo che sa giocare le sue carte per fare carriera. Furbo. Università di Yale. Ufficiale di marina della riserva. Grandi parchi, soffici tappeti erbosi, cabine di lusso, campi da tennis, immaginava Bernstein: tutte cose che però probabilmente non bastavano a fare di Woodward un buon cronista quando c'era da fare un'inchiesta. Non era molto bravo a scrivere. In redazione correva voce che voce che l'inglese non fosse la sua lingua madre. Bernstein aveva piantato gli studi senza laurearsi. A sedici anni aveva cominciato a lavorare come fattorino al "Washington Star", a diciannove era diventato cronista tempo pieno, e dal 1966 lavorava al "Post". Aveva fatto il cronista giudiziario e seguito la politica locale, si era cimentato in qualche servizio-inchiesta, e gli piaceva scrivere lunghi pezzi di colore su personaggi della capitale dintorni. Woodward sapeva che ogni tanto Bernstein recensiva concerti di musica rock. La cosa quadrava. Ma che a volte si occupasse anche di musica classica, proprio non gli andava giù. Bernstein aveva tutte le caratteristiche di quei giornalisti della controcultura che Woodward detestava. Per parte sua, era convinto che la rapida ascesa di Woodward al "Post" dipendesse, più che dalle sue doti, dalle credenziali che aveva come uomo dell'establishment. Non avevano mai fatto un servizio insieme. Woodward aveva 29 anni, Bernstein 28"

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